A cura di
Simone Castelli
Se hai tra i 40 e i 45 anni, probabilmente non hai mai veramente dovuto fare i conti con l’inflazione: cosa significa averne a che fare come farmacista?
Facciamo un salto indietro. Dopo atti, trattati, convegni e via discorrendo, la comunità europea prende concreta origine dall'adozione della moneta unica il 1o gennaio 1999: l'Euro. Per adottare l'euro, ogni paese concorda un tasso di conversione del valore della propria moneta nella nuova moneta comune: per noi italiani, 1 euro equivale a 1936,27 lire. Chiaramente, gestire una moneta implica la necessità di avere un istituto ad hoc: la Banca Centrale Europea (BCE), che governa i valori di interscambio con le altre monete internazionali e gestisce ovviamente il tasso di interesse, acquistando e cedendo moneta.
La storia ci riporta che il patto di stabilità fortemente voluto dal paese economicamente e industrialmente più forte dell’Europa, la Germania, fu un patto di grandissima solidità e di stretto controllo e governo dell'inflazione. Paesi come l'Italia, la Grecia, il Portogallo, in modo particolare, hanno compiuto sacrifici importanti per mantenere costanti i valori economici che avrebbero sostenuto questa stabilità contro l'inflazione.
Mia figlia Giorgia è nata nel 1997, mio figlio Alessandro nel 2000: probabilmente loro non hanno percezione di cosa voglia dire inflazione. Ma anche molti uomini e donne di vent’anni o più grandi non hanno fatto l’esperienza di dover gestire vita, risparmi e lavoro con un tasso di inflazione superiore al 6%, come quello che abbiamo registrato nel primo trimestre 2022 in Italia. Grazie alla politica di contenimento dell'inflazione attuata in modo molto severo dalla BCE, per questo ventennio il tasso di inflazione all'interno dell'eurogruppo si è attestato sempre sotto il 3%, raggiungendo numeri addirittura più bassi negli anni Covid a causa della forte contrazione della domanda. Oggi, in un mondo post-covid che vede l’Europa scossa da una guerra i cui protagonisti sono un paese dotato di armi nucleari e l’altro detentore di circa il 5% delle riserve di materie prime mondiali, ecco che compare questa sconosciuta: l'inflazione.
Ora che abbiamo conoscenza del contesto, possiamo rispondere a questa domanda. L’inflazione è un indice percentuale (mensile e annuale) che monitora l'andamento dei prezzi di un paniere di prodotti a opera di un istituto che in Italia è l’Istat. In altre parole, se 1 kg di pane il 1° gennaio costava €1, alla fine dell'anno costava €1,07: questo indica che il prezzo del pane è aumentato del 7%. Ciò comporta un evidente impoverimento: con la stessa quantità di denaro riesco ad acquistare meno prodotto.
In casi estremi, potrei non avere il denaro sufficiente al mantenimento dello stato di benessere precedentemente raggiunto, a meno che anche i miei redditi non crescano. Normalmente i contratti di lavoro nazionali reagiscono in modo più lento rispetto alla reale inflazione perché se un datore di lavoro deve pagare di più i propri dipendenti vuol dire che deve avere dei margini più alti o delle efficienze più elevate per gestire la propria impresa e non sempre questi processi sono facili e immediati, ci vuole tempo per ottenerli.
L'inflazione al 6% non è economicamente sana e può mettere rapidamente in difficoltà i ceti medio-bassi di una società. In economia, si tende a giudicare un'inflazione sana un'inflazione che abbia un parametro fra il 2% e il 3%. L'inflazione spinge il consumatore a un sano acquisto di prodotti, senza speculazione e accaparramento. Se l'inflazione è più bassa si tende a non acquistare, in attesa appunto di un ulteriore ribasso. Quando l'inflazione è alta, invece, si tende ad acquistare più prodotto in funzione di una speculazione, di un accaparramento. Normalmente, se l’inflazione sale, la BCE alza il tasso d’interesse del denaro, raffreddando gli speculatori e viceversa. In questo momento assistiamo a un disallineamento del comportamento tradizionale delle banche centrali. La BCE e Federal Reserve americana stanno infatti attendendo, non stanno alzando i tassi, confidando che il controllo di questa fiammata inflazionistica sarà spontaneamente svolto dal mercato, che rifiuterà di comprare a prezzi così alti.
Ma come sono correlate inflazione e farmacia? Ebbene, la farmacia è un’impresa nel settore sanità e ci coinvolge come privati cittadini. Di fatto, quel risparmio, per esempio, di €50.000, che abbiamo accantonato e lasciato sul conto corrente tra l’1 gennaio e il 31 ha rappresentato un impoverimento. Tecnicamente, la rivalutazione del risparmio dovrebbe eguagliare il tasso d’inflazione per conservarsi.
Se vendessimo la nostra farmacia a un milione di euro e l'inflazione fosse il 7%, dovremmo a fine anno avere €1.070.000. Se teniamo la farmacia, invece, il valore delle merci che vendiamo si rivaluterà per effetto economico.
Esistono dei beni che automaticamente proteggono dall'inflazione. Notoriamente sono i beni durevoli, cioè i beni che durano (oltre 10 anni), che hanno domanda di acquisto e sono più protettivi rispetto all'inflazione. Il bene durevole per eccellenza è la casa, ma lo è altrettanto la licenza della farmacia. Perché? Semplice: la gente ha bisogno delle medicine, ha bisogno di curarsi, può rinunciare ad altri acquisti ma non rinuncia all'acquisto dei farmaci. Questo, chiaramente, con le dovute eccezioni e il rispetto per chiunque: i prezzi dei prodotti in farmacia vengono tranquillamente aumentati rispetto all'inflazione senza che questo comporti una contrazione significativa dei consumi. Alla fine dell'anno, la farmacia avrà aumentato i prezzi del 7%, avrà recuperato in fatturato il 7% e quindi avrà difeso il proprio valore del 7%.
Parlando a una platea di farmacisti, non possiamo non citare i farmaci equivalenti, che nell’ultimo ventennio hanno avuto la crescita sottraendo il prezzo. Qualora ci trovassimo con una liquidità da gestire, dovremmo in tutti i modi tenere duro e avere una corretta asset allocation di quelli che sono i nostri risparmi. In questo periodo, è meglio avere dei debiti contratti negli anni scorsi che non averli: l'inflazione fa di fatto apprezzare (salire il prezzo) il bene comprato.
Se abbiamo comprato un immobile (un bene durevole che quindi si difende dall'inflazione) finanziato con un mutuo 5 anni fa, pagandolo €200.000, adesso tra l'anticipo che avremo dato e una quota di rate che avremo pagato, avremo restituito circa il 35% del valore: avremo quindi pagato circa il 60% degli interessi (parliamo del cosiddetto mutuo alla francese, in cui l'istituto di credito porta a casa la parte variabile del proprio contratto, cioè l'interesse, e tiene invece la parte garantita dall'ipoteca, normalmente l'immobile, scoperta dal rientro del pagamento). Questo vuol dire che avremo pagato gli interessi quando i tassi erano bassi e anche se poi gli interessi dovessero aumentare, la maggior parte è già stata corrisposta. Intanto, l'inflazione opera sul bene durevole: l'aumento del costo dei materiali dell'edilizia ne aumenterà il valore.
Insomma, tieniti la casa dove abiti, la casa al mare e la farmacia: tutto questo protegge dall’inflazione. Cosa non dura? Il denaro! Che continua a essere il mezzo per vivere e fare impresa, ma non il fine.